Azionò una vecchia leva, leggermente indurita dal disuso. La plancia si riempì di una moltitudine di luci e led intermittenti. I monitor lampeggiarono, numeri e ronzii luminosi, si riversarono direttamente nella retina modificata di Savror Hardin.
<< Buongiorno, Sindaco Hardin…
<< Buongiorno a te, Rig-Veda.
<< Posso fare qualcosa per lei? L’efficienza di questa nave è all’87%… non male considerato che l’ultima manutenzione è stata fatta 349 anni fa!
<< Sì, ne è passato del tempo… attivati completamente Rig: partiamo.
<< Torna a casa, Sindaco?
<< A casa…? – Scosse la testa. – No, non credo; ormai non so se posso ancora avere una casa, ciò nondimeno… partiamo.
<< Attiverò il campo di stasi tra due ore, prima devo controllare gli stadi finali del generatore.
Il sindaco si alzò. Un senso di oppressione gravava su di lui. Era come se avesse bisogno di fare, di agire, ma non riuscisse a trovare la strada giusta.
Quasi per un istinto iniziò a frugare nei cassetti della sua cabina. Prima che se ne fosse reso conto, si ritrovò tra le mani il quadernetto nero che Laguna Loire gli aveva dato dopo che, insieme, avevano accompagnato il piccolo Cloud al varco dimensionale, nel Bosco magico dei Chocoboko. La copertina era deformata, qualcosa di umido l’aveva toccata: le lacrime di Laguna per Cloud che svaniva. Che diventava uomo.
Il tempo, per chi non ne coglie l’inganno è un soffio bruciante. Pensò.
Con i suoi sensi amplificati si sintonizzò lungo la linea temporale di Cloud e la fece scorrere come un nastro, sempre più avanti. Finché, scorse un punto di interruzione, di svolta. Incuriosito si arrestò e si mise a guardare…
Piante di edera cremisi si attorcigliavano a deboli arbusti pallidi; spettrali rovi lucenti, dardeggiavano lattiginosi nella sera. La Natura si era avvinghiata alla costruzione ricoprendola completamente, per cancellarla.
Una nuova città era era nata dalle rovine dell’altra ma le persone erano cambiate. Pochi degli abitanti originari erano rimasti e il loro sguardo era rivolto sempre altrove, mai alla costruzione. I nuovi arrivati, invece, incoscientemente, si avventuravano nelle vicinanze e riuscivano a fissare le macerie con un misto di indifferenza e sufficienza. Erano i figli di New Nibelheim.
Loro non avevano nulla da dimenticare.
Mani ruvide si posarono delicatamente sulla testa di Zack.
<< Sbrigati, o farai tardi a scuola. – Disse dolcemente l’uomo.
<< Non preoccuparti.
Zack aveva dieci anni ed era molto alto per la sua età. Un’ombra leggera attraversò i suoi occhi limpidi:
<< Senti papà, per oggi…
L’uomo si irrigidì e la sua espressione indurì:
<< Ti ho detto di no, non insistre. – Secco.
<< Ma tutti i miei compagni ci vanno.
<< Te l’ho già spiegato: è troppo pericoloso.
Lo sguardo del ragazzo si riempì di lacrime:
<< Ma, …ma non è vero! – Esclamò con voce rotta. – Il reattore è nella Zona 3 ed i mostri sono anni che non si vedono e poi mai oltre la Zona 5.
<< Adesso basta! – Gridò suo padre. – Possibile che tu non lo capisca? E se qualche mostro fosse riuscito a debordare dalla sua Zona?
<< Se sei così preoccupato, vieni con noi.
<< Nulla al mondo mi farà rimettere piede in quel luogo. – Rispose, rabbrividendo…
…Veloci falchi saettarono impietosi dalla sua memoria, straziandolo. Rammentò, dolorosamente, il viso contratto di Zack, morto anni addietro e tuttavia, così caro che lui lo aveva voluto ricordare nel figlio dandogli il nome.
Tornò anche la figura fiammeggiante di Sephyrot che balzava contro la Vita, per non fermarsi a pensare che una volta aveva creduto nell’umanità…
E …
E il sigillo mortale di una Spada che impediva la strada agli Altri, gli Oscuri…
E lontano, ancora più indietro, le parole che, sempre, lo avevano accompagnato fin dalla sua infanzia anomala:
“ Ricordati che i mostri ti seguiranno dovunque tu andrai… “
Era poco più di una voce che, aveva ripetuto così tante volte e alla fine, si era confusa con la propria. Adesso non riusciva a riconoscerla, a volte, però, gli veniva in mente assieme all’immagine sbiadita di un quadernetto nero e mani di bambini che se lo contendevano, che poi scoppiava in uno sbuffo colorato, lasciandolo solo con i suoi dubbi.
<< … Tu non vuoi che io impari a combattere, come fanno i miei compagni. – Piangendo. – La verità è che sei un vigliacco!
Le parole lo investirono come una sferzata. Se una spada lo avesse trafitto in pieno petto non gli avrebbe fatto cosi' male; Zack scappo' via in lacrime. Decise di lasciarlo stare: avrebbero parlato in un altro momento, forse gli avrebbe raccontato anche di quei giorni terribili, se ne avesse avuto la forza. …Forse invece no…
Un giorno avrebbe capito che la violenza e' l'ultima alternativa, tra tutte quelle possibili, che la grandezza di un uomo non si misura dalla sua spada. Doveva comprenderlo!
Aspetta! – Si corresse. – Non era così che diceva… quel sogno usava parole simili, tuttavia diverse.
Cercò di concentrarsi, per riportare il ricordo a fuoco. Inutilmente. Si riscosse.
Doveva controllare, quella mattina, i germogli delle Theobroma: era importantissimo che le piantine si sviluppassero correttamente, altrimenti avrebbe rischiato di perdere il raccolto.
Era il suo lavoro: coltivare la terra.
La sua scelta.
Il solo modo che conosceva per dimenticare.
Lavorare e basta.
Aveva 33 anni ed era solo, pensava al suo futuro come una parabola tristemente discendente, ma lineare, senza scossoni. Un giorno, la Morte lo avrebbe trovato appoggiato ad un bastone e, con un sorriso benevolo lo avrebbe invitato:
<< Andiamo.
Lui avrebbe annuito, felice. Non lasciava dietro nessuno, a parte suo figlio, ma come gli aveva detto il monaco, del tempio di Meji, quando era andato a chiedergli la benedizione per il piccolo appena nato:
“ Muore il Padre,
muore il figlio
muore il nipote.”
È così che la vita si rinnova e resta sempre uguale. Zack sarebbe stato in grado di badare a se stesso, in fondo il mondo che gli aveva lasciato era migliore del suo.
Sarebbe ritornato in compagnia dei suoi amici, di Aeris, … e di sua moglie.
…Sua moglie era morta quando Zack aveva 2 anni, non aveva voluto un’altra compagna, sembrava che una specie di maledizione gravasse su di lui.
La famiglia era stata per lui un’esperienza nuova, dover condividere con qualcuno, tutti i giorni le gioie ed i dolori, ma anche le abitudini, accettare compromessi, i piccoli tic quotidiani, le discussioni con lei.
Il desiderio di andarsene…
Era sempre stato solo, nessuno si era occupato di lui; a volte sentiva il peso di quella specie di danza che tutti facevano e che si chiamava vita sociale. Poi, lei morì… non seppe perché, ma non riuscì a versare lacrime quel giorno, era come se, … lo stesse aspettando. Una specie di fatalità.
La casa divenne un guscio vuoto e stanco. Ma Zack per fortuna non gli dette tempo di pensare: era un bambino gracilino e piangeva tutte le notti; l’unico modo per acquetarlo era di passeggiare tenendolo in braccio, canticchiandogli una ninna-nanna.
Le Theobroma stormirono quando, con mano sicura, prese i rametti e iniziò scrutare i germogli blu: alcuni erano già schiusi e cominciavano ad estroflettere i delicati filamenti. Presto la fioritura avrebbe completato il suo ciclo e i teneri petali variopinti, si sarebbero staccati, per lasciare posto ai piccoli frutti ovali.
Uno di questi minuti boccioli si staccò e gli restò tra le dita.
Accidenti! Pensò. Devo stare più attento. Si infilò la gemma in una tasca dei pantaloni, guardandosi attorno: voleva evitare di essere visto. C’erano persone che l’avrebbero volentieri assalito per entrarne in possesso. Si diceva che gli alcaloidi contenuti, se messi in infusione, generassero un leggero stato allucinatorio. Era per questo motivo che venivano chiamate Theobroma:cibo divino.
<< Perché ti ostini a coltivare solo le Theobroma? Gli avevano chiesto un giorno. Non sapeva bene il motivo; solo era come se quei fiori che erompevano all’improvviso e vibravano alla sua presenza, …erano una specie, di sentirsi accanto ad una …no! Non lo sapeva e non voleva saperlo.
Si asciugò la fronte, il sole era già allo zenith, scese dalle Theobroma e le salutò silenziosamente:
<< È quasi l’una, devo preparare il pranzo a Zack.
Una sorta di fruscio, in risposta, lo rasserenò. Era bello avere un fiore come amico. Riflettè.
Le pentole borbottarono e le posate tinttinnarono era come un gioco. L’orologio grande iniziò a scandire i minuti.
Arrivò l’ora di pranzo e passò saltellante, ma priva di significato.
La piccola tavola attese inutilmente che le scodelle piene di zuppa venissero vuotate.
Accidenti! È veramente arrabbiato, non ha mai fatto così tardi.- Pensò, chiuse gli occhi. - Dovrò parlargli.
Temeva l’arrivo di quel giorno; aveva una paura innata delle parole: erano delle creature malevole, capaci di trasformare il più mite degli uomini in un mostro. Sapeva che potevano rendere felice, ma erano solo un vago riflesso della realtà, della vita che tentavano di imitare.
Alle tre, uscì. Doveva andare ad aiutare il fabbro; prima, però, sarebbe passato dalla scuola, magari Zack, era restato per le lezioni del pomeriggio.
Il cielo sereno scoppiettava di trilli e insetti rumorosi: come essere arrabbiati in quella stagione?
La scuola era un edificio di mattoni rossi e grigi.
<< Ciao Cloud, sei venuto a prendere Zack? Ancora la gita non è tornata, mettiti comodo. – Gli disse la segretaria.
<< Grazie Stheph, ma veramente dovrebbe essere da qualche parte per qui. Non è andato in gita: glielo avevo proibito.
<< Ehm… - Tentennò la segretaria.
<< …
<< …Ascolta Cloud. – Prendendolo sottobraccio e portandolo da una parte. – C’è qualcosa che non va?
<< Come?
<< Tra voi due, intendo. So che per te è dura dover fare da padre e da madre.
<< Sì, effettivamente ultimamente è insofferente, non accetta più che gli dica nulla… Ma questo che centra?
<< Io credo che tuo figlio senta il richiamo della vita, del sangue.
<< Stheph, non ti seguo. Non capisco una parola di quello che vuoi dire.
<< Lui è come te, un giorno andrà via. …Guarda, ho la lista di partecipanti alla gita, c’è anche il suo nome.
<< Ma glielo avevo proibito! – Allontanandosi.
<< Aspetta! Lui ti sta dicendo semplicemente che vuole qualcosa di più. Che coltivare la terra non gli basta.
<< La terra è tutto quello che serve…
<< Non gli hai ancora parlato di…
<< No. – Ammise. – Io, non sono capace di parlare, è difficile; è sempre più difficile comprenderlo… ho paura, capisci? Ho paura che vada via, che un giorno mi arrivi un ologramma con incisa la data della sua terminazione.
<< Ma tu cosa gli offri. Guardati, quanti anni hai?
<< Trentatrè.
<< Sei forte e robusto, ma guadagni appena quel poco che vi basta per vivere, fai dei lavoretti di fatica e nulla più. Non hai un minimo di ambizione… Sono passati 12 anni da…
<< Lo so quanti anni sono trascorsi, sfoglio i giorni ogni secondo e ogni secondo ancora. Ma quanto credi che mi resti da vivere? Le radiazioni che ho assorbito hanno effetti collaterali; ci sono anche quelli, non lo sapevi. No, non lo sa nessuno. …Certo, vado ogni mese alla visita e mi dicono che sono sano come un pesce, anche Zack è controllato costantemente. Sai perché non me lo hanno tolto? Perché anche lui ha il DNA alterato e quindi temono che prima o poi si scateni qualcosa a cui io solo, posso
<<…
<< Come credi che mi senta, quando il contatore Geiger ticchetta? Quando la strana radiazione di cui sono saturo non tocca nessuno, né contamina nulla, ma scivola, come un serpente bianco, unicamente tra me e mio figlio?
Ti ricordi degli altri, vero?
Certo, ho sognato anche io di essere un eroe, ho persino creduto di aver salvato il mondo. Lo sai alla fine, cosa hanno detto, quando la Commissione del Sinedrio si è riunita?
<< Cloud, capisco che le cose non siano andate…
<< Mi hanno detto che avevo dei disturbi del carattere. Gli Psicotecnici, riscontrarono uno sdoppiamento della personalità. Quando vennero a conoscenza che mio figlio lo avevo chiamato Zack, vollero un colloquio per sapere… ma è inutile parlare di queste cose. Tutti hanno i loro problemi, anche tu hai i tuoi, no?
<< Sì. –Ammise la segretaria. – Comunque non pensarci, Cloud, hai un ragazzo magnifico. È intelligente, bravo ed è questo che conta.
Cloud si grattò la testa e fece scricchiolare le nocche:
<< Il reattore è ancora attivo; non capisco perché, non vi rendiate conto di quanto può essere pericoloso.
Un genitore si avvicinò loro:
<< Signorina, mi scusi, sono già le tre e mezzo. Come mai questo ritardo di mezzora?
Stheph si stampò sul viso un sorriso di circostanza:
<< Stia tranquilla, saranno qui a momenti.
Una sensazione tremenda inizò a pizzicare le tempie di Cloud.
<< Cloud, ti senti bene?
<< …Sto bene. – Il suo viso prese a contrarsi visibilmente. Rapidi tic gli tormentavano la parte sinistra. Si sedette.
Dopo un’ora i genitori erano una folla vociante che chiedeva notizie dei figli; Stheph, vanamente, cercava di blandirli. Un tremito incontrollabile assalì Cloud. Con rapidi movimenti cercava di scacciare la sensazione che lo feriva sul volto.
<< Siete stati dei pazzi. – Urlò infine. - Mandarli al reattore. Dobbiamo andarli a cercare. Bisogna chiamare le squadre di soccorso!
<< Ma Cloud, sono solo in ritardo di un’ora. E' troppo presto per chiamare le squadre, magari hanno avuto un contrattempo.
Stheph si rivolse verso di lui e solo adesso, si accorse del tremito e dei gesti che imprigionavano Cloud in una impenetrabile armatura di pazzia brillante.
<< Cloud, fermati! Cosa vuoi fare?
<< È troppo tardi, troppo tardi per tutto! – Gridava con gli occhi sbarrati.
<< Sicurezza! Sicurezza! – Strillò la segretaria. – Fermatelo. – indicando Cloud che se ne scappava via.
Cloud, correndo, si diresse verso casa, al capanno degli attrezzi.
Erano anni che non ci entrava e l’ultima volta era stato per pochi istanti, solo per controllare se fosse ancora viva, la Spina del Passato che gli mangiava il cuore.
Impugnò la Spada liberandola dalla polvere e dalle ragnatele. La sua mano si adattò faticosamente a quella vecchia novità. Era un sogno anche questo, una sensazione di forza che diceva: “Con me sei al sicuro, io ti proteggerò e… molto di più.”
Raccolse qualche magia e cercò – inutilmente,- della Summon Materia.
Nulla.
Avrebbe dovuto contare solo su se stesso.
<< Devo fare presto, tra poco farà buio ed allora…
…Il Reattore Mako.
L’edificio era un mostro che lo attendeva malignamente. “Sono anni che ti aspetto Cloud, sei tornato, finalmente!”
Promisi che non ti avrei più rivisto, che non sarei mai rientrato nelle tue viscere… invece. Poca cosa sono le parole degli uomini. – Riflettè.
Era come se fosse successo ieri.
Quando fece quel giuramento, non avrebbe mai immaginato che avrebbe avuto un figlio né che ci sarebbe stata Lei.
Lei, lei era…
…Lei.
Era bella, bellissima e dolce. Piena di forza e di energia. Tutto era possibile con lei a fianco. Non c’era niente che la scoraggiasse e lo amava, come non avrebbe mai creduto possibile essere amato.
Sentì qualcosa che stava scivolando leggera sulla pelle delle sue guance: una lacrima.
<< Zack. – Disse.
Era la cosa più importante della sua vita.
Avrebbe affrontato di nuovo, tutte le sue paure per lui. Entrò con la Spada in pugno. Altri ricordi crudeli, si protesero verso il suo volto spaventato.
Uno stridore lo riportò alla realtà, conosceva quel suono. Si avvicinò furtivamente:
due Valakodios si stavano affrontando, ai loro piedi un corpo straziato. Si guardò intorno, meticolosamente, del Trasporto nessuna traccia. Un gemito poco distante. Un'altra pesona ferita.
L’uomo a terra aveva la divisa degli insegnanti di arti marziali.
<< Cosa è successo?
<< Siamo stati attaccati, ci sono dei mostri nel reattore… non capisco i sensori non hanno segnalato nulla. – Parlava con fatica.
<< Dove sono i bambini?
<< Sono scappati col Trasporto, ma l’autista è caduto e non c’è nessuno che lo sappia guidare.
<< È quello là? – accennando con la testa il cadavere conteso dai Valakodios.
L’altro annuì.
<< La gita è in pericolo.
Cloud esaminò le ferite dell’uomo e lo trascinò fuori, nascondendolo nella boscaglia.
<< Devo andare, ma non ti preoccupare, tornerò. Con questo starai meglio. – Mentì. Gli somministrò un Cure, pur sapendo che era perfettamente inutile. Ma non voleva togliergli la speranza.
Rientrò.
Un Valakodios ferito gli si parò davanti sbarrandogli la strada e balzandogli addosso. La Spada affondò piacevolmente nella gola dell’animale; sembrava di udire un canto che diceva:
“ Questa è la Vita: estirpare la vita”. Era la sua Spada affamata che gioiva. La fece cadere di colpo sentendosi colpevole. Sei viva? Gli domandò, inutilmente.
Si tolse la camicia intrisa del sangue del mostro gettandola lontano. La scia odorosa, che avrebbe lasciato, altrimenti, sarebbe stato un pessimo biglietto da visita quaggiù!
Trasalì sentendo un bruciore lungo il braccio sinistro: il Valakodios lo aveva ferito leggermente con gli artigli.
<< Accidenti. - Si fasciò come meglio potè il taglio.
Qualche decina di metri dopo trovò un altro cadavere, il ronzio fastidioso degli insetti e delle mosche, risuonarono nel silenzio. Scorse una mosca camminare pigramente all’interno dell’occhio, nell’iride; si portò una mano alla bocca, cercando di resistere alla nausea che gli stringeva lo stomaco. Fece appena in tempo a girarsi di lato, che fu scosso da conati di vomito. Gemendo, cadde in ginocchio, vicino al cadavere: l’odore fresco delle interiora a nudo, fu un ulteriore choc. Un sudore freddo lo attraversò come una scarica elettrica e il suo odore assunse una consistenza spessa, infine, vomitò un liquido verdastro. Sono diventato inutile: ho visto tanti morti che questa qui, non dovrebbe farmi nulla. Si ripulì la bocca con il dorso della mano. Cercando di deglutire, per togliere il sapore di acido dalla bocca.
Sentendosi debolissimo, prese ad arrancare, trascinando la Spada. Evitò le zone più scoperte e quelle più intricate, nascondendosi ad ogni minimo rumore o fruscio. Quando le ombre, ormai lunghissime, si confondevano con la prima sera, trovò il Trasporto.
Era inclinato in avanti: le ruote anteriori, spezzate, si erano incastrate in un fosso. Cloud corse e prese a battere contro lo sportello serrato.
<< Papà! – Disse Zack, sorpreso di vederlo.
<< Cloud, ma cosa ci fai qui? – Chiese il preside.
<< … Cosa, cosa è successo? – Biascicò debolmente.
Scorse a malapena i visi dei ragazzi spaventati. Il preside aveva Un’espressione incerta:
<< Eravamo appena scesi che delle creature, si sono avventate su di noi. L’autista del Trasporto ha cercato di proteggerci…
<< Anche l’insegnante, ci ha detto di entrare dentro e partire, avrebbe badato lui a loro! – Esclamò Zack.
Cloud, li studiò come se fossero due estranei. Vi conosco? - & Si chiese. – Siete di un altro pianeta e avete assunto l’aspetto dell’ospite, siete dei parassiti… lo state divorando dall’interno. Non comprendete il senso della nostra realtà quotidiana. Forse siete una nuova mutazione del Reattore… non lo so! È così difficile pensare in questo momento. Come potete essere fiduciosi?
Stringendo la Spada, appoggiò la schiena alla parete di metallo dell’autoveicolo. Goccie di sudore gli imperlarono la fronte, mentre un ronzio intermittente gli colpì l’interno dei timpani.
Il preside, continuò:
<< Nessuno sapeva guidare un Trasporto e ci siamo bloccati qui. Ma non ci sono problemi: l’insegnante di arti marziali è andato a chiedere aiuto, mezzora fa…
<< Credo lei si riferisca a quella macchia di visceri e materia che ho trovato spiaccicata vicino all’uscita! – Sogghignò Cloud con gli occhi serrati.
<< Il prof…
<< …Cosa?
<< Avete sentito? …Ha detto che…
<< È morto ammazzato!
<< .. Sono stati i mostri! …
Un vociare sempre più alto, faceva da contrappunto ad una paura umida che scorreva gocciolando sulla scolaresca e avvinghiava, di volta in volta, l’uno o l’altra. Ora era il ragazzo che aveva appena riso della battuta del compagno, adesso la ragazzina castana con le strisce di colore rosso vivo nei capelli, che iniziava a guardare il vuoto e, di colpo, la vedevi torcersi le mani affannosamente.
<< Ora basta! – Urlò Cloud: temeva che la situazione potesse andare fuori controllo. - Dobbiamo organizzarci. Le squadre di soccorso stanno venendo a cercarci. Dubito, però, che riescano a trovarci prima di domani: è troppo buio. Cerchiamo perciò di trovare il modo di trascorrere la notte. State vicini e, se avete coperte, prendetele. Anche tu Zack, smetti di piangere e aiuta gli altri!
Poco a poco, i ragazzi, tesi, si misero a fare i preparativi per la notte. Cloud si abbandonò sul sedile del guidatore. Un improvviso brivido lo attraversò e la vista prese a ballare leggermente. Chiuse gli occhi, lasciando che la testa si appoggiasse, mollemente, al vetro del finestrino.
<< Dovremmo poter resistere fino a domani mattina. – Gli disse il preside.
<< Avete visto altre Creature?
<< No, ma…
<< Già, capisco.
<< È come quando una cosa abitudinale ti ferisce: non riesci a fidarti più, anche se sai che è innocua.
<< …Preside, la Zona, non è mai innocua. Mai, almeno finché il generatore Mako sarà attivo. – Si interruppe: il senso di vertigine lo aveva di nuovo preso e adesso si sentiva cadere in un abisso vibrante.
<< Cloud. – Disse il preside avvicinandosi.
<< Ma, …sei ferito! – Gridò Zack, indicando il braccio fasciato.
Ferito? Cosa? Quel graffietto?- Cloud sorrise, da un milione di chilometri di distanza.
Il preside allarmato gli tolse la fasciatura: i margini del taglio erano enfiati e neri.
<< Veleno!
Veleno…?
Con uno sforzo immenso si diresse, verso il Trasporto. Gli sembrava di essere caduto in un liquido pulsante e scuro, che scorreva come un fiume, portandolo lontano dagli altri, lontano da Zack. Dal suo Zack.
Riaprì gli occhi: sentiva un dolore martellante al braccio che pareva essersi gonfiato come un palloncino teso al limite. Aveva perso la sensibilità, lo avvertiva come una sorta di appendice morta.
Comprese: il Valakodios, aveva gli artigli avvelenati. Probabilmente non era veleno vero eproprio. Non si tratta di una tossina. - Il suo corpo alterato era resistente a queste cose. Doveva trattarsi di una specie di malattia, un brodo batterico che attaccava le difese immunitarie dell’organismo, con una varietà sorprendente.
Certamente! In questo modo, la preda del Valakodios, benchè leggermente ferita sarebbe morta in poco tempo per una setticemia estesa.
Dallo sguardo preoccupato del preside, comprese che aveva avuto anch’esso la sua stessa idea:
<< Preside, quali sono le sue conoscenze di medicina?
<< Più che altro sono reminiscenze; tuttavia, mi ricordo di aver studiato questi sintomi.
<< Eh, eh, eh! Anche io. – Tossicchiò Cloud. – Ci sono degli animali in alcune isole tropicali che fanno proprio così. Me ne parlò una volta una ragazza…
<< … ?
<< Si chiamava Aerith. Ma fu molto tempo fa… che strano, oggi è la seconda volta che mi torna in mente.
Scrollando la testa Cloud, si appoggiò alla fredda parete metallica dell’abitacolo. Ho bisogno di rinfrescarmi le idee. – Pensò. - Devo trovare il modo di reagire…
Aveva ancora delle magie:
<< Rigene! – Debolmente.
Alla lunga il veleno avrebbe avuto il sopravvento, ma per il momento era l’unica cosa che potesse fare. Purtroppo, questo avrebbe solamente allungato la sua agonia, le alterazioni di Status, avrebbero attraversato quella barriera magica senza sforzo.
Si ricordò di avere in tasca il germoglio di Theobroma. Perché non provare, magari l’alcaloide ha anche una funzione antibatterica. - Si disse, faticosamente lo portò alla bocca e iniziò a masticarlo lentamente: aveva un sapore che passava dall’amaro al dolciastro…
Una palpebra trasparente lo inglobò. Attraverso di essa percepì un senso di fuga. Scorse un bagliore all’orizzonte e una strana costruzione di pietra sprofondata nel terreno. Si sentì attratto da quel luogo e, obbediente, la palpebra saettò bruciante come una stella.
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