KEFKA’S PRELUDE
by Laguna Loires

Con un sospiro, il giovane Kefka, chiuse la porta della stanza dietro di sé. A parte un debole chiarore questa, era avvolta dalla penombra azzurrina della notte, tagliata solamente dalle luci precise degli alogeni che saettavano nel cielo.
<< Finalmente… - Sibilò.
Aveva ancora lo sguardo e la mente presi da file interminabili di libri aperti; libri che non potevano essere letti poiché, il loro linguaggio, era fatto di segni invisibili e, altri ancora, in lingue sconosciute, stanche, curiose o, semplicemente, stolide. Pagine di carte antiche, decorate, colorate, ingiallite o ammuffite;
Verità – pensò.
Si appoggiò fiaccamente allo studiolo con la fronte accostata sul marmo serpentino.
Frescura… silenzio, pace.
La ricerca non aveva dato l’esito sperato; era sciocco pensare di riuscire a trovare informazioni importanti al primo tentativo.
Magi, i Magi, la loro guerra e…
prima ancora?
Cosa hanno gli Esper, che li rende diversi?
Perché gli Esper?
Due mondi in conflitto.
- Aprì le mani mostrando il palmo verso l’alto e le fissò, prima l’una, poi l’altra, come se fossero oratòri e dentro di essi, due saggi: il primo aveva dietro di sé uno zainetto colmo di carrucole, corde, righelli e l’altro invece risplendeva di un’aura variopinta.
Parlavano tra loro,
parlavano mormorando,
parlavano a se stessi,
parlavano quando l’altro si sovrapponeva e,
si guardavano, cercando il nulla nascosto negli occhi sapienti.
<< La magia non esiste, tutto può essere ricondotto ad un ragionamento scientifico!
<< Il mondo del Soprannaturale si introdusse qui, per poter agire direttamente, senza limitazioni. L’anima pura e ricettiva può accedere, se condotta con maestria, verso i poteri ultimi, supremi…
<< Il potere è quello della conoscenza che permette di applicare le leggi del mondo per i nostri fini, per le esigenze che abbiamo.
<< I Magi acquisirono padronanza di forze che sono in grado di modificare l’universo.
<< Nessuno strumento è in grado di misurare la Magia, quello che sappiamo fare è utilizzarne l’energia.
<< Manca un quid, senza quello, tutto resta oscuro. Senza una guida perfetta la via della conoscenza non ha speranza e si richiude in se stessa; i libri e le formule restano vuote e la Sapientia, scivola nella indulgenza, nella pochezza.
<< Gli Esper…
<< Non ci sono tracce degli esper, come hanno fatto ad evolversi?
<< Loro sono soprannaturali.
<< Guarda un gatto: è un mammifero; ci sono resti fossili dei suoi antenati e così di ogni altro animale, insetto pesce o rettile. Eppure, eppure gli Esper non rientrano in nessuna phyla. La morfologia è assurda e nessuna linea evolutiva potrebbe generarli: ossa che terminano di netto e poi riprendono senza soluzione di continuità.
<< Le tue regole non valgono, uomo di scienza, con gli Esper, loro sono la contraddizione, sono il sintomo di una immanenza mistica, loro sono quello che non potrebbe essere. Il Segno.

Chi ha ragione?
La scienza o il soprannaturale?
Quali delle due ha l’ultima parola… quale è la regina e quale l’ancella? È una dicotomia insanabile. Volontariamente, entrambe si allontanano e pensano di essere sufficienti a loro stesse… la soluzione è nel passato, prima del grande Disastro.
Chiuse le mani, stringendole a pugno e le due figurette si dileguarono in uno sbuffo della sua immaginazione.
Molti dei libri sfogliati, richiamavano le leggende precedenti alla guerra dei Magi, ma erano citazioni o invenzioni letterarie, romanzesche.
Pure un fondamento di verità deve esserci! Qualcosa che lo spieghi… - Gridò la sua anima.
Si voltò verso un frammento di cristallo appoggiato al centro dello scrittoio che brillava debolmente; era stato incastonato in un glifo centinaia di anni prima e, su di un bordo, si poteva ancora scorgere in un accenno di cesello: TIMURXIT.
Molte persone erano morte nel corso dei secoli per averlo; il respiro di Kefka accelerò, vi si avvicinò in preda ad una tensione febbrile. Sapeva cosa stava succedendo, ancora una volta, come le altre...
Adesso adesso adesso adesso adesso adesso adesso
Sentiva le tempie martellargli, afferrò il cristallo in un unico movimento, mentre si sdraiava sul letto, ad occhi chiusi.
La bocca tremò al suo tocco leggero, accennato. Il contatto con il frammento, gli dava una sensazione di formicolio sulla pelle: lasciò che serpeggiasse su di lui mollemente e, infine, lo premette sulla nuca, con forza.
<< Apriti, apri le porte, schiuditi come un fiore, come una donna, come una frutta che si spacca. – Grugnì, con la bocca impastata.
Immagini e suoni lo avvolsero e tutti gli altri sensi esplosero in un caleidoscopio di stimoli: si sentì cadere da una altezza infinita, accompagnato dal fischio del vento contro le sue orecchie gementi.
Nuvole veloci, scorrevano oltre l’orizzonte, globi di luce si susseguivano nel cielo rincorrendolo e assieme a questi, creature mai viste, mostruose, sottili, leggere…
In basso, città argentee circolari in mezzo a prati e, i prati, erano racchiusi da foreste antiche, formate da piante come giganti che si stendevano a perdita d’occhio. I boschi immensi, erano divisi da grandi strade diritte, quasi raggi di luce, lastricate di pietra basaltica nera e durissima.
La sua planata terminò d’improvviso: cadde in ginocchio sul pavimento della stanza accanto al letto, in una sensazione di realtà sovrapposta. Era contemporaneamente in lì e nel cielo di quel luogo straniero, alieno, lontano.
Il cuore batteva come un mantice e mille rigagnoli di sudore scavavano la superficie pallida della sua pelle, sentì le mani riempirsi di rena soffice.
Sabbia, sabbia e ancora sabbia. Milioni di attimi fatti di sabbia sotto le mie suole, infiniti granelli di vita che non vogliono fermarsi, che brulicano, cambiano, impazziscono e invecchiano.
Che senso ha vivere?
Quale è il segreto della vita?
Perché viviamo?
Dove andiamo
Scorrere tra le trame del giorno; spiegazzare il velluto di cobalto dello spazio-tempo in un divenire inutile.
Io… io sono vivo. Vivo? Mi chiedo ansimando nella prigione inviolabile della mia anima.
Mi pizzico il braccio, mi strappo il respiro, mi graffio le guance.
No no no.
Vivo eppure incommensurabilmente vuoto.
Un contenitore di giada preziosissima, senza senso. Ho timore del giorno che seguirà, del disgusto assurdo che provo quando chiudo gli occhi e la vertigine mi prende urlandomi contro. Sangue strappato. Un mattone duro contro il viso. Lo scricchiolio delle cartilagini che esplodono sotto l’urto non è sufficiente per distogliermi dal labirinto stridente della pazzia.
Un giorno… tra un istante visionario, sarò morto. Polvere dimenticata come gli altri.
Guardo gli altri.
Ascolto gli altri.
Tocco gli altri.
Annuso gli altri.
Nulla. Non sono nulla, appena cose, materia informe. Esistono solamente per me, sono oggetti: marionette nella mia vita.
Vita.
Nella vita.
Nella mia vita.
Nella mia vita vuota.
Senso e estetica. Non voglio morire.
Morire
No
Morire..
M o r i r e
No no no no no no.
Morire comunque. Tutto quello che farò sarà toccato alla fine dal nulla e si straccerà come un lenzuolo liso.
Sogno, un sogno strano, ricorrente: tre statue di pietra trascendentali e il segreto dell’infinito davanti a me, alla mia portata, anzi: mio.
Per sempre.
E l’eternità che mi chiama, il velo del tempo che diventa bolla lasciandomi andare, libero, infine.
Ho sentito raccontare, leggende, tramandate e sussurrate con sgomento di guerre magiche… magia. La parola mi riempie di speranza: magia; magia come una sciabola di luce che taglia ogni dubbio. Avessi una anima la sacrificherei per racchiudere in me ogni aspetto, anche il più screditato del potere. Solo attraverso il potere c’è la speranza, speranza per me.
Questa farsa di nobiltà, questa corte fasulla che mi odia per il mio ascendente sull’imperatore, dovrà imparare chi ha il vero potere.
L’impero è nelle mani di uno sciocco presuntuoso che crede di diventare Dio. Sarà il mio destriero, il mio cercatore, la mia mano malvagia e mi darà ciò che cerco.
Ho tempo.
Veleno.
Quanto posso resistere accanto all’imperatore?
Basta una fiala, poche gocce di veleno, un minutissimo dardo, un pazzo senza scrupoli e tutto finirà: morirò senza raggiungere il mio scopo.
A volte mi chiedo come io faccia a sapere che raggiungerò l’eternità. Cosa mi distingue dalla carne che mi circonda, dalle improbabili creature, dai fantocci di aminoacidi palpitanti… il disgusto.
Forse.
Disgusto.
Il senso dell’assoluto.
Forse sono già divinità e sto ripensando al mio passato, creandolo e generandolo dentro di me, in un cerchio che gira come una ruota luminosa.
Io sono il tempo e la sua assenza: inferno e assieme paradiso, sono deus absconditus, il mio ondeggiare, il mio respiro stilla gli infiniti frutti del mistero naturale, l’alchimia suprema del libro del Mondo.

Una figura dagli occhi grandi, d’insetto, lo ghermì per le braccia, strappandolo ai suoi sogni, lanciandogli suoni ronzanti: cercava di afferrare il cristallo.
Kefka si divincolò riuscendo a liberarsi; un colpo più forte lo allontanò dall’altro ma il movimento gli fece perdere la presa dal cristallo che cadde in mezzo ai due; in un guizzo repentino l’insettoide afferrò il glifo:
<< TIMURXIT… finalmente. – Disse, sorridendo.
Nei suoi arti, il glifo si illuminò di una luce intensissima e prese a librarsi nell’aria.
Parole, come un canto scivolarono sui presenti:
<< Colori intessuti, trapuntati gemme di suoni; diamanti di accordi, nuvole nella nebbia ... ho tra le dita un legno antico fatto di una pianta tenera, di aliante pietrificato e indurito dalla pelle delle persone che lo hanno maneggiato e ognuna di queste vi ha lasciato un pezzetto di respiro, una canzone di incanti, un sussurro disciolto nella mia gabbia eterna, inviolabile, mortale…
una scatola di giada nascosta tra le pieghe di un velluto gettato nella soffitta e un raggio imprevisto di luce lo tocca facendolo brillare per un secondo... finalmente, fratello mio, finalmente siete riusciti a liberarmi.
<< Abbiamo pianto lacrime amare, il dolore bruciava ogni istante della nostra esistenza, saperti prigioniero e esiliato nel mondo dei mortali. Maledetti Magi…
<< È trascorso tanto tempo, ormai che temevo perduta per sempre la strada, che credevo che ciò che vedevo fosse solo un inganno della mia memoria…
<< Ci avvicinavamo sempre più a te, ma i mortali si spaventavano e svanivano. Solo lui – Indicando Kefka, - non è scappato.
<< Sognava mari di parole, sognava il potere e pensava che io fossi la Via.
<< Tu sei la Via…
<< Non al potere…
<< Non al potere... – Ripeté l’altro.
<< Andiamo, fratello mio, che l’umano sfumi e resti solo una rimembranza, una pausa nell’eternità.
Kefka sentì che la sua presenza in quella realtà si faceva sempre più impalpabile, evanescente.
<< NO! NO! NO! – Gridò, cercando di toccare il globo di luce che era stato Timurxit.

Quando, riaprì gli occhi, era giorno fatto da tanto: il campanile rintoccava la mezza e il sole brillava quieto.
Kefka guardò con odio le pareti della sua stanza, istintivamente cercò il glifo, ben sapendo che non lo avrebbe ritrovato:
<< Ritornerò. – Mormorò digrignando i denti. – Ritornerò e giuro che vi farò desiderare la morte come il più bello dei paradisi!